I protagonisti del Premio Estense Intervista a Silvia Bencivelli, finalista e autrice di “Sospettosi”

Cultori del sospetto, retroscenisti, abitanti impenitenti delle nostre comode bolle fatte di autoverità e bias cognitivi. Siamo noi, persone “anche colte, istruite, ragionevoli”, i veri destinatari di Sospettosi. Silvia Bencivelli scrive questo libro perché sulle sfumature di vero, verosimile e plausibile lotta ogni giorno nel suo mestiere di giornalista scientifica. Eppure, di Scienza con la ‘s’ maiuscola, ce n’è un disperato bisogno.

Vaccini, omeopatia, alimentazione, oncologia e gravidanza per scarnificare strumentalmente il tuo libro. Dove si annidano i sospetti più subdoli e dove allignano i sospettosi più ostici?

“In realtà, e questa è la tesi che provo a dimostrare nel libro, sospettosi siamo tutti quanti. Ed è giusto così. Siamo tutti umani e abbiamo tutti emozioni e dubbi, e talvolta esperienze passate, che ci possono rendere cauti nell’accogliere le proposte della medicina scientifica. Del resto, questa funziona per protocolli basati sui grandi numeri, e non è fatta per fare amicizia con ciascuno di noi. Nel mezzo, poi, ci sono i medici, e anche loro sono umani e possono sbagliare. E le istituzioni sanitarie, macchine molto complesse. Insomma: avere a che fare con la medicina è difficile, soprattutto se si è il paziente. E credo che sia comprensibile una certa dose di prudenza. Una certa dose, ovviamente. Perché sono convinta che la scienza sia il sistema culturale capace di offrire le risposte migliori a quasi tutto quello che avviene in natura, comprese le nostre malattie. Quanto agli ambiti nei quali si annidano i nostri ‘sospetti’ peggiori, sono quelli che toccano di più la nostra sensibilità. Cioè quelli che hanno a che fare coi bambini, o con la sofferenza più grave e misteriosa, come quella da tumore. E quelli con cui ci confrontiamo tutti ogni giorno, con la testa, la pancia e il portafogli: l’alimentazione”.

I social network, dici nella tua introduzione, rappresentano la maieutica quotidiana della nostra violenza. Ci aiutano cioè a far eruttare qualcosa che è già presente in noi. Facebook e affini sono il pericolo pubblico numero uno per la scienza e per chi la racconta?

“No. I social network, appunto, sono solo luoghi nei quali ci esprimiamo in pubblico (talvolta senza averne contezza). Le cosiddette fake news sono antiche quanto l’uomo, e per millenni non abbiamo avuto bisogno dei social network per farle circolare. Si può ovviamente ragionare sul ruolo che hanno nell’amplificare le informazioni, o su come rendano ciascuno di noi fonte, moltiplicatore e ricevitore di notizie, o ancora su come confondano la differenza tra chi sa e chi non sa. Ma non credo che la scienza possa cavarsela additando Facebook come proprio nemico numero uno”.

L’informazione scientifica non è indenne da colpe.

“L’ecosistema dell’informazione è un bel casino, e in certi momenti storici i percorsi dell’informazione scientifica sono ancora più intricati. I ‘lettori’ non possono essere incolpati di ignoranza. Oppure dovremmo esserlo tutti quanti”.

Esperti di scienza, scienziati: chi sono e come si riconoscono? Con quale criterio noi giornalisti accendiamo i microfoni e apriamo i taccuini?

“Con quale criterio lo facciamo o con quale lo dovremmo fare? In questi mesi si sono intervistati troppo spesso gli scienziati più capaci di fare ascolti. Facendo finta di non sapere che anche questi sono esseri umani e possono non essere d’accordo tra loro, oppure possono essere spinti a parlare da rivalità e interessi non del tutto nobili. Si è anche fatta una gran confusione tra opinioni, sensazioni, ricerche non ancora pubblicate, si sono create tifoserie. E gli stessi giornalisti si sono divisi tra ‘fan’ di questo o quello scienziato. Se la domanda è «con quali criteri dovremmo scegliere chi intervistare», invece, è soprattutto opportuno ricordare che chi fa il giornalista dovrebbe farlo sempre. Quindi dovrebbe saper fare le verifiche e saper porre le domande anche quando tratta di scienza, e non solo aprire il microfono e annuire”.

Ultimamente gli scienziati sono tornati di moda. Come giudichi la gestione mediatica dei loro interventi durante il climax pandemico?

“Direi abbastanza sgangherata. È mancata la centralizzazione dell’informazione scientifica da parte delle istituzioni ed è mancata la competenza strategica della comunicazione del rischio e dell’emergenza sanitaria. Qualcuno avrebbe dovuto dire: «signori, la scienza è un sapere evolutivo e non dà certezze granitiche, mai. Al momento sappiamo questo e questo, ma non sappiamo ancora quest’altro». Invece è andata come è andata”.

Intervista di Generoso Verrusio