I protagonisti del Premio Estense Intervista a Concetto Vecchio, finalista e autore di “Cacciateli!”

Sradicati per necessità lo siamo stati anche noi italiani. Non c’è bisogno di tornare alla Grande Emigrazione, a cavallo tra fine Ottocento e inizio Novecento, per rileggere certe pagine di vita agra. Migranti, tra il 1948 e il 1968, sono stati 2 milioni di connazionali. Non dall’altra parte del mondo, ma nella vicina e ricca Svizzera. Le tribolazioni degli stranieri-déraciné di casa nostra ce li ricorda Concetto Vecchio, penna arguta di Repubblica.

La condizione di migrante la famiglia Vecchio l’ha vissuta sulla sua pelle.

“Mia madre, Pippa, emigrò in Svizzera nel gennaio del 1961. Mio padre, Melo, nell’ottobre del 1962. Mamma trovò lavoro come operaia, papà era ebanista. Venivano entrambi dallo stesso paese, Linguaglossa, sull’Etna, ma si conobbero nell’emigrazione. Solo scrivendo questo libro ho scoperto quanto erano poveri. E solo mentre completavo l’epilogo mi sono accorto che in realtà avevo scritto un libro su di loro, che per la prima volta facevo davvero i conti con la mia storia familiare. Ero partito col fare un libro su James Schwarzenbach, il primo populista d’Europa che nel 1970 promuove un referendum per cacciare dalla Svizzera 300mila stranieri, quasi tutti italiani, e alla fine è risultato un racconto che tiene tutto insieme: la Grande storia e il romanzo familiare”.

Chi era James Schwarzenbach?

“Era l’unico deputato di un piccolo partito di estrema destra, Nationale Aktion. La sua impresa era apparentemente senza sbocchi: espellere gli stranieri da un Paese privo di disoccupati era folle, eppure sfiorò la vittoria. Questo perché esasperò il sentimento di disagio che l’arrivo in massa degli stranieri – perlopiù italiani – aveva suscitato nella popolazione svizzera, specie nella parte operaia. Per scrivere il libro ho rivisto il documentario ‘Siamo Italiani’, che il regista Alexander J. Seiler girò a Zurigo nel 1964. Andò per le strade a chiedere alla gente cosa pensasse degli italiani e le frasi furono perlopiù astiose: «Ha notato che arrivano sempre in gruppo, e mai da soli? Non sopportiamo più i loro rumori, perché sono davvero troppi ormai. E quando non vogliono fare una cosa ti dicono “non ho capito!”. E se poi vedono una donna sola diventano appiccicosi come cimici e sostano sempre davanti agli ingressi dei supermercati e ostruiscono il passaggio. E non comprano niente! Stanno lì solo per oziare». Ecco, il clima era questo. L’arrivo degli italiani rappresenta un trauma culturale e identitario. Da qui la paura dell’altro, del diverso, l’eterofobia che Schwarzenbach trasforma cinicamente in una proposta elettorale”.

Gli italiani in Svizzera erano Tschingg. Cioè?

“Tschingg ha varie etimologie. La più verosimile fa derivare la parola dal cinque gridato dagli italiani durante il gioco della morra. Gli svizzeri lo storpiarono in tschingg. E così venivano chiamati con disprezzo gli italiani. Ora da un po’ di tempo la parola è caduta in disuso ed è ritenuta politicamente scorretta. È il segno che le cose possono cambiare. Che la convivenza a un certo punto è possibile. Oggi gli italiani in Svizzera sono amatissimi. Chi l’avrebbe detto allora?”.

Migranti non si nasce ma si diventa. Ieri come oggi?

“Si emigra, ieri, come oggi, per cercare un futuro migliore. È un fenomeno inevitabile della storia, e lo sarà sempre di più in futuro. È una grande questione, piena di implicazioni sociali e culturali, che va affrontata con una visione, invece molti populisti la risolvono con uno slogan buono per i social. Ma in tutto ciò non dobbiamo dimenticarci che questa dell’emigrazione è soprattutto una grande storia italiana, è il nostro passato e ci riguarda da vicino, e spesso diamo l’impressione di averlo dimenticato”.

Perché lo straniero fa così paura?

“Ci sono molte ragioni. La storia che racconto in Cacciateli! dimostra che è la paura della concorrenza dello straniero ad alimentare l’odio, concorrenza in senso lato, non solo economico. Anzi, è soprattutto una paura identitaria. Negli anni Sessanta accadde ad esempio che gli italiani si rivelarono molto più bravi degli svizzeri nel corteggiare le donne. «Ballano benissimo», dice una ragazza alla tv svizzera. Questo alimentò molti risentimenti. «Lo svizzero medio si sente trascurato», disse allora Schwarzenbach a Enzo Biagi. Poi c’era anche il timore di una concorrenza economica. Un operaio pugliese spiegò a Giovannino Russo del Corriere: «Ci odiano perché noi lavoriamo a cottimo». Insomma, lo straniero fa paura perché minaccia un equilibrio, mette in discussione le nostre certezze”.

Intervista di Generoso Verrusio