Federico Rampini: “Geopolitica, più informazione e meno chiacchiericcio” Federico Rampini, il giornalista vincitore del 39esimo premio Gianni Granzotto

Uno sguardo mai scontato sui fatti della geopolitica, dell’economia e degli affari internazionali è quello a cui ci ha abituato il 39esimo vincitore del “Riconoscimento Gianni Granzotto. Uno stile nell’informazione”, Federico Rampini. Editorialista del Corriere della Sera e già corrispondente della Repubblica da New York dal 2009, ha esordito come giornalista nel 1979 scrivendo per Rinascita. È stato vicedirettore del Sole 24 Ore e inviato e corrispondente da Parigi, Bruxelles, San Francisco, Pechino. Ha insegnato nelle università di Berkeley, Shanghai e in Bocconi.

La guerra in Ucraina ha riacceso l’interesse del giornalismo italiano per la geopolitica. Sui media tradizionali, ma non solo su quelli, sono aumentati gli approfondimenti e i punti di vista. Di questo assunto cosa ti convince di più e cosa di meno?
“Abbiamo visto tutto il meglio e tutto il peggio di cui è capace il giornalismo italiano. Sono salite le vendite di due buone riviste di geopolitica, Limes e Domino. Il giornale più diffuso, il Corriere della Sera sul quale scrivo, ha investito sulla rete di corrispondenti e inviati all’estero. A me ha chiesto di curare una collana di grandi testi classici di geopolitica, che si è venduta molto bene in edicola. Qualche programma televisivo si è rivolto a veri esperti, ex ambasciatori, generali, studiosi dello Iai o dell’Ispi. Ma all’estremo opposto abbiamo visto dilagare i talk show dove gli stessi tuttologi che pochi mesi prima pontificavano sul Covid, e sul Festival di Sanremo, si sono riconvertiti come esperti di strategie militari. Nell’insieme però credo che sia emerso un nuovo pubblico, con tanti giovani, in cerca di informazione seria, analisi e approfondimenti, non chiacchiericcio ideologizzato”.

La rivolta del capo del gruppo Wagner, Prigozhin, è stato un golpe o un colpo di teatro?
“Sappiamo per certo che non è stato un tentativo di golpe. Ma neanche una pura messinscena. È stato un gesto calcolato, dettato dalla rabbia e dalla disperazione, in un contesto di regolamenti di conti tra varie fazioni militari russe. Ha rivelato un regime putiniano più fragile di quanto il resto del mondo credesse. Un dittatore con il controllo della situazione avrebbe previsto e impedito la rivolta prima che nascesse; oppure l’avrebbe schiacciata subito e avrebbe esibito Prigozhin in manette al telegiornale entro poche ore”.

America e Cina due imperi… agli antipodi. Nel mezzo un’Europa senza visione (strategica?) e un mondo multipolare che ribolle. A quale nuovo ordine mondiale dovremmo prepararci?
“Non esiste e non è mai esistito un ordine mondiale, concetto astratto che viene usato solo per esprimere nostalgia per qualcosa che ci manca, oppure orrore e odio verso qualche potenza che non ci piace. Perfino la Pax Romana è una semplificazione dei manuali di storia perché fu segnata da instabilità e turbolenze. La Pax Britannica, la Pax Americana, non sono mai state veramente tali. Quando rievochiamo gli anni dal 1991 al 2001 come un “momento unipolare” di dominio assoluto dell’America, facciamo una forzatura perché perfino quando l’Urss era crollata e la Cina non era ancora decollata, l’America non controllava pienamente né il Medio Oriente né l’Africa né l’America latina dove accadevano incidenti di ogni sorta, contrari agli interessi americani. Oggi stiamo solo assistendo alle scosse di assestamento da un ordine multipolare verso un altro ordine multipolare, con le gerarchie e i rapporti di forza che cambiano in favore della Cina ma anche dell’India, dell’Arabia saudita, tutte potenze che hanno agende in competizione fra loro. Il problema dell’Occidente è che in questa fase la sua cultura e il suo discorso pubblico sono dominati dall’auto-flagellazione e dai complessi di colpa: sentimenti poco adatti a elaborare una chiara strategia in difesa dei propri interessi. In America e in Europa molte élite hanno introiettato una rappresentazione del mondo in cui tutte le sofferenze e tutte le ingiustizie sono imputabili a noi, unica razza dominatrice e saccheggiatrice. È una sciocchezza, ma non si parla d’altro nelle nostre università, nei nostri media, e questo ci paralizza”.

“Inchieste da fermo” su La7: un esperimento inedito per te ma anche per chi ti ha seguito in tv. Hai in mente un nuovo programma per la prossima stagione?
“Questo bisogna chiederlo a La7. A me piacerebbe. Intanto posso dire di essere molto grato a chi mi ha dato fiducia e ha voluto consentirmi questo esperimento. Non era affatto scontato che funzionasse; gli indici di ascolto ci hanno premiati ben oltre le aspettative. È solo un piccolo test, però è incoraggiante perché significa che esiste un pubblico interessato a programmi di serio approfondimento su temi hard come geopolitica, economia globale, affari internazionali. Quindi non è vero che gli italiani si interessano solo di gossip o cronaca nera o politica interna. Su una scala dimensionale molto superiore alla mia, e con una professionalità ben più elevata della mia, questo lo hanno già dimostrato dei grandi della tv italiana come Piero e Alberto Angela, Corrado Augias. Però è la prima volta che un programma così ambizioso si applica alla geopolitica, all’economia, alle relazioni fra le superpotenze”.

Chi ha paura dell’Intelligenza artificiale?
“Purtroppo, tutti quelli che la capiscono veramente. È un brutto segno, ma fra le centinaia di scienziati che hanno messo in guardia contro i suoi pericoli, ci sono proprio i massimi esperti del settore. Alcuni di coloro che hanno concepito ChatGpt, per esempio, oggi ammettono apertamente di non capire con certezza i meccanismi con cui questa intelligenza artificiale apprende da sola. Io per natura resisto alle narrazioni apocalittiche, diffido dai catastrofismi. Perciò cerco di prestare attenzione anche a tutti gli scenari positivi che vengono proposti. Ma la competenza e l’autorevolezza di quelli che la temono, mi fa riflettere”.

(Generoso Verrusio)

Tagged: