Nello Scavo: «Siamo complici delle milizie libiche» Intervista a Nello Scavo, autore di "Le mani sulla Guardia Costiera. Come la politica minaccia l'indipendenza di una grande istituzione italiana", quarto libro finalista del Premio Estense 2024

di Giuseppe Nuzzi

Migrazione, mafia, traffico di esseri umani, accordi segreti e altri fatti alla luce del sole: quello che picchia in Libia. Sono i vari elementi che Nello Scavo mette assieme, in un sapiente gioco di collegamenti, ricerche, verità e inchieste all’interno di Le mani sulla Guardia costiera, tra le opere finaliste del Premio Estense 2024. 

Chi ha le mani sulla Guardia costiera? 

La politica, di tutti i colori e gli orientamenti. Lo dimostra bene la conclusione delle indagini per i fatti di Cutro, in cui – appunto – sono stati individuati atti di indirizzo politico. C’è un tentativo, duraturo nel tempo, di snaturare il ruolo della Guardia costiera italiana per altri scopi. È innegabile la responsabilità politica in ciò che è accaduto e ancora sta accadendo. 

Italia, Malta e Libia: è un pericoloso “Triangolo delle Bermuda” per i migranti? Tra dirottamenti e respingimenti, cosa accade davvero? 

Il traffico di esseri umani è una potente arma di distrazione di massa perché è un pericolo per le persone, è uno strumento di ricatto per le democrazie europee, che scendono a patti con la criminalità locale dei Paesi di partenza, che non è autonoma dalla politica ma è insita nel sistema politico. Ho anche ricostruito come il grande traffico internazionale di droga dall’Africa sud-sahariana e dall’America centrale – con il concorso di mafie italiane, ‘ndrangheta calabrese e gruppi balcanici – transiti attraverso la Libia approfittando proprio dei porti gestiti dalle milizie libiche. 

Nel suo libro cita il comandante Bija, più volte accusato del traffico di esseri umani e persino sanzionato dall’Onu. Eppure, le autorità italiane hanno mantenuti intatti i rapporti con lui. 

È la prova che non si tratta di indifferenza o silenzio, ma di complicità. Recentemente il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha rinnovato e inasprito le sanzioni su Bija e sugli altri vari affiliati. È stato anche chiesto di non pagare più lo stipendio a loro perché si tratterebbe di una violazione delle sanzioni Onu, eppure proprio in questi giorni circola una foto di Bija nella sua nuova divisa a bordo di due motovedette fornite di recente proprio dalle autorità italiane. 

Lei ha parlato anche di un sistema di “disinformazione” che mina il lavoro dei giornalisti: quali tattiche sono state adottate? È un rischio concreto per la libertà di stampa? 

Il Presidente Mattarella ha recentemente ribadito che è presente una minaccia continua alla libertà di stampa. Il tentativo che si è fatto in questi anni attraverso le minacce, la disinformazione e la diffusione di notizie false è stato proprio quello di screditare quei giornalisti che si occupano in maniera costante di questi temi. 

Quali responsabilità ha l’Unione europea in tutto questo? 

È chiaro che l’Europa e l’Italia sono diventati una specie di bancomat e che basta la minaccia di spedire un certo numero di migranti per ricevere soldi, motovedette ed equipaggiamento. Questo consente di perpetrare tutta una serie di atti illeciti: non è solo di migranti che stiamo parlando. 

Sebbene gli sbarchi nel 2023 siano raddoppiati, il governo Meloni continua a tacere, nonostante l’accanimento degli anni precedenti. È una silenziosa ammissione di sconfitta? 

È una clamorosa ammissione di sconfitta. Quando si arriva al governo si scopre che non è possibile fare rimpatri. La destra all’opposizione si scagliava contro i 35 euro al giorno di spesa per i centri di accoglienza italiani: con i Cpr in Albania la spesa schizza a 150 euro al giorno a migrante. Forse servirebbe riscoprire e riaffermare il valore dei diritti umani fondamentali che sono la base dell’Europa, ma che tutti noi europei abbiamo dimenticato. 

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