Verranno di notte di Paolo Rumiz: viaggio nel cuore oscuro dell’Europa alla ricerca della parola salvifica Uno sguardo al terzo libro finalista del Premio Estense 2025

Nel suo ultimo libro Verranno di notte. Lo spettro delle barbarie in Europa” (Feltrinelli, 2024), Paolo Rumiz firma un’opera che è insieme elegia e atto d’accusa, meditazione poetica e resistenza civile. È notte fonda sull’Europa, e non solo in senso figurato. Nella solitudine di una stanza riscaldata da una stufa, sul confine orientale del continente, l’autore osserva e ascolta. Fuori scorrono treni militari, convogli di profughi, segni concreti di una guerra che non è più altrove, ma qui, ora. Rumiz, insonne, annota i battiti di un continente in apnea. E ogni parola è un tentativo di trattenere il senso, di restituire dignità alla lingua in un’epoca che la violenta ogni giorno.

L’Europa che ci consegna è spettrale, disorientata, governata da forze disumane e spinta da un’economia che divora il senso della comunità. La Costituzione europea è in macerie, le sbarre tornano ai confini, e da ogni angolo – Francia, Germania, Spagna, Paesi Baltici – arrivano segnali di smottamento. Ma non è solo la geopolitica a inquietare Rumiz: è la condizione morale. La guerra contro chi migra, l’assuefazione al dolore altrui, la retorica dell’odio sdoganata come linguaggio pubblico. È il dominio della paura e della semplificazione, dell’identità costruita su TikTok e algoritmi, dell’ideologia liquida dei nuovi barbari. Non basta più chiamarli “fascisti”, scrive: allora almeno c’era un’idea (terribile) di società. Oggi c’è solo un vuoto occupato da slogan, meme, influencer. E proprio di notte, quando le città dormono, questi nuovi predatori si muovono con maggiore efficacia, colonizzano il pensiero, riscrivono il reale.

Eppure, nel buio più profondo, Rumiz vede luci. Sono i gesti che non fanno notizia: un contadino che difende la sua terra, un villaggio che accoglie i profughi, credenti di fedi diverse che pregano insieme a Gaza. E poi le piazze d’Europa, milioni di persone scese a manifestare contro i sovranismi, come a dire che la democrazia non è ancora del tutto sconfitta. Rumiz raccoglie questi segnali con la cura del cronista e la sensibilità del poeta. La sua lingua – lirica, vibrante, mai neutra – si fa strumento di resistenza. “Quelli come me non hanno che parole da offrire”, scrive. Ma le parole, oggi, valgono come lame. Sono l’ultima difesa contro la barbarie che avanza in silenzio, ma avanza.

Quando le fisarmoniche della notte sembrano suonare tutte insieme, allora arriva l’alba. Le ombre si ritirano negli anfratti, il cielo si schiara. Verranno di notte è un libro che non si limita a raccontare la crisi: la attraversa, la nomina, la sfida. Rumiz non si rifugia nella nostalgia, né cede al catastrofismo. Il suo è un atto di fede nella parola come presidio etico e civile. Un’opera necessaria, che si inserisce con forza nel solco della letteratura d’impegno. E proprio per la sua capacità di intercettare lo spirito del tempo, con uno sguardo ampio e una voce inconfondibile, merita di essere considerata tra le opere degne di un riconoscimento come il Premio Estense.

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