Dopo l’invasione dell’Ucraina, la Russia è diventata, agli occhi dell’Occidente, un territorio sempre più impenetrabile, oscuro, inaccessibile. Un Paese che pare essersi ritirato dal mondo, chiuso in sé stesso, mentre proietta verso l’esterno un’immagine monolitica, imperiale, inflessibile. In questo scenario di crescente isolamento, “Volga Blues. Viaggio nel cuore della Russia” di Marzio G. Mian (con le fotografie di Alessandro Cosmelli) si impone come uno dei reportage più audaci e necessari degli ultimi anni.
Un viaggio lungo seimila chilometri nel cuore della Russia, seguendo il corso del Volga, il fiume simbolo della civiltà russa, che da sempre ne rappresenta il corpo e l’anima: un’arteria di acqua e di storia, dove si incontrano l’Europa e l’Asia, il passato zarista, la memoria sovietica e il progetto postmoderno del potere putiniano. È un racconto intenso, stratificato, che intreccia esperienze vissute, riflessioni geopolitiche, osservazioni antropologiche e squarci di storia collettiva.
Mian, giornalista esperto di esteri, riesce a entrare in Russia con l’amico fotografo Alessandro Cosmelli e a rimanervi oltre un mese, sfidando i controlli dei servizi di sicurezza, muovendosi da Tver ad Astrakan, da Nizhniy Novgorod a Kazan, da Saratov a Volgograd, senza incontrare uno straniero, senza ascoltare altra lingua che il russo. L’elemento straordinario è proprio questa immersione totale, questa discesa dentro un Paese che sembra aver blindato ogni accesso ma che, sulle rive del suo grande fiume, continua a raccontarsi.
“Il Volga è una grande turbina della retorica”, scrive Mian, “e su di esso scorrono non solo le acque, ma le storie e le tensioni di una Russia che si percepisce in guerra non solo con l’Ucraina, ma con l’intero ordine occidentale.
Il libro, che ha il tono di un thriller ma la precisione di un’inchiesta giornalistica, è abitato da figure che diventano simboliche: Vlad e Katja, i producer che aiutano i due autori e che a un certo punto diventano essi stessi parte del rischio; i russi comuni incontrati lungo la strada, tra fatalismo e orgoglio; le ombre ingombranti della Grande Guerra Patriottica, ancora onnipresente nei discorsi pubblici e nelle statue delle piazze.
Volga Blues non ha la pretesa di spiegare la Russia, ma di raccontarne la complessità viva e contraddittoria. È un libro su cosa vuol dire essere russi oggi, in un’epoca in cui la nazione ha smesso di cercare approvazione e sembra invece rivendicare il proprio isolamento come destino. Un Paese che parla ancora con le parole della Seconda guerra mondiale, che richiama in vita i miti cosacchi, i santi ortodossi e i leader sovietici, e che prova a tenere insieme un’identità multietnica e multireligiosa sotto il segno di un’idea imperiale antica e fragile.
Il risultato è un’opera che unisce il rigore dell’inchiesta alla profondità dello sguardo letterario, un reportage che diventa racconto civile, testimonianza politica e diario umano. Volga Blues, candidato al Premio Pulitzer, è un’opera fondamentale per chi voglia comprendere non solo la Russia di oggi, ma anche le paure e le fratture dell’Occidente che la osserva da lontano, senza riuscire più a parlarle.